In tempi di multipli lockdown e lontananza dal lavoro, la mente e’ messa a dura prova. Molto probabilmente non e’ cosi’ per tutti, ma il criceto nella mia testa fa girare sempre la stessa ruota di rimuginio e colpevolizzazione quando non sono impegnata in qualcosa -e trovare la motivazione per impegnarmi in qualcosa al momento e’ roba da fantascienza, ditemi come fate che’ vi faccio una statua -si fa per dire perche’ hello pandemic, bye bye productivity!
Quindi, per sopravvivere a me stessa, ho dovuto trovare dei piccoli (minuscoli, ridicoli) stratagemmi per farmi sentire di aver realizzato qualcosa nelle mie giornate, tra questi ci sono:
farsi uno shampo la sera – e mi torna in mente la canzone di Gaber, azzeccatissima. Non sono mai stata un’appassionata della doccia, e nemmeno del farsi un bagno. Anche se mi piace la sensazione di pulizia che ne segue, l’atto di spogliarmi, prendere freddo, rivestirmi, spazzolarmi e asciugarmi i capelli… Troppo sbattimento! Ovvio che e’ una cosa che devo fare, ma relegata in casa durante una pandemia, a volte ho optato per lavarmi a pezzi. Sulla scia di questa tendenza, quando ho bisogno di una piccola vittoria quotidiana, perche’ gia’ mi sono lasciata troppo andare e ho bisogno di stare bene con me stessa, certe notti, prima di mettermi a letto, mi faccio lo shampo. Trovo che l’idea di ritrovarmi con i capelli gia’ belli che puliti il giorno dopo sia una figata pazzesca, oltre a darmi la sensazione che non importa quanto mi sia trascinata nel non fare nulla durante il giorno, comunque uno shampo l’ho fatto!
mettersi lo smalto alle unghie. Ho passato una vita a dirmi che non ho delle unghie abbastanza belle da mettere lo smalto – eppure questo non mi ha mai trattenuta dal comprare gli smalti. Don’t ask, forse pensavo che avrei cambiato idea, o che nel tempo le mie unghie sarebbero diventate magicamente a mandorla. Comunque, dato che gli smalti ormai li ho, il tempo per metterli pure, l’occasione anche perche’ non essendo a lavoro, posso mettermi quello che voglio, mi sono finalmente goduta un po’ di unghie smaltate. Non importa che non siano perfette o da copertina, il processo mi assorbe tanto di quel tempo che va bene cosi’.
quando devo comprare qualcosa per la cena, scelgo un supermercato lontano, cosi’ cammino. Ammetto di essere la persona meno sportiva sulla faccia della terra, ma camminare mi piace e anche camminare tanto, non mi spaventa. In questa pandemia in cui la sedentarieta’ mi ha dato alla testa e fatto fiorire il punto vita, ho capito che devo muovermi un po’ tutti i giorni. Davanti allo schermo, con l’istruttore di youtube, mi prende a malissimo e mi sento una perfetta idiota, quindi mi sono data circa un’ora di camminata ogni giorno – con lo scopo della spesa c’e’ piu’ possibilita’ che la camminata la faccia per davvero.
togliere facebook dal telefonino. Forse non sono pronta ad ammettere di avere un problema con facebook. Sicuramente ho un problema con gli aggiornamenti di persone del mio passato che si sposano, figliano e costruiscono imperi mentre io mi sento una persona riuscita buttando l’immondizia o facendomi una doccia -no, lo shampo, vabbe’. Ho qualche problema con l’effetto patinato che sembra d’obbligo nel presentare la propria vita nei social -ma anche in alcune interazioni sociali o lavorative della vita reale, se e’ per quello. Il mio vero problema con facebook, quello che persiste nonostante i piu’ si siano spostati a spararsi le pose altrove (tipo instagram), sono i commenti. Non so quando, ma qualche tempo fa, anni dopo essermi iscritta, ho iniziato a leggere i commenti a post di persone che non conosco, post di riviste, notizie, politica e costume e… SHOCK! Credo che la quantita’ di monnezza, di cattiverie gratuite, di bassezza umana e di grammatica raccapricciante abbiamo segnato la mia psiche. Dato che smettere un’abitudine deleteria e’ piu’ difficile che eliminare del tutto la tentazione (quale fumatore riesce a non fumarsi le sigarette che ha in casa?), ho rimosso facebook dal telefonino. Continuo a visitare il social dal pc, spendendoci molto meno tempo, e per qualche oscuro motivo dal pc riesco a resistere al riflesso che di solito mi fa aprire la lista dei commenti -ma forse e’ solo perche’ questa non e’ mai diventata una mia abitudine dal computer.
togliere il giochino ammazza-tempo dal telefonino. Qualche settimana fa la poca voglia che mi rimaneva di leggere e’ andata a farsi un giro e quindi mi sono ritrovata con del tempo da ammazzare, soprattutto mentre cucinavo o prima di andare a dormire. Per questo motivo mi sono scaricata un giochino di blocchi a incastro, su uno schema tipo sudoku. Completando un quadrato, una fila o una riga di nove spazi, i blocchi sparivano, si liberava spazio per piu’ blocchi e si accumulano punti. Easy peasy, farcito di pubblicita’ e con un nome abbastanza brutto da non passare per una che si da’ le arie mentre ammazza il tempo La mia storia con i giochini del genere non va molto indietro nel tempo, ma mi ricordo che e’ iniziato con un gioco semplice semplice sul telefonino paleolitico che avevo in Spagna. Il bello di quel gioco era che c’era un numero stabilito di livelli, una volta completati tutti, si poteva tornare a vivere -o a ricominciare il giochino dal primo livello, been there, done that. Sono poi passata per Candy Crush (I know), per un giochino con le palline colorate e un altro con i liquidi che andavano divisi per colore. Il piu’ delle volte ho disinstallato i giochi perche’ avevo raggiunto dei livelli frustranti o perche’ mi ero gia’ bella che saturata. Con Woodoku (ve l’avevo detto che aveva un brutto nome!) invece la tensione (vabbe’) faceva risvegliare il mio tic -che non ha bisogno di essere incoraggiato. E quindi via giochino, adesso riprovo piano piano a leggere… Forse.
Una compilation di aspettative e realta’ da un anno di pandemia. Pensavo che alcune delle mie aspettative sarebbero appartenute solo all’inizio della pandemia, poi pero’ le ho riviste ripresentarsi ai vari lockdown -e io che pensavo di non essere un’illusa… La realta’ invece e’ sempre quella, sempre ingloriosa e underwhelming.
ATTIVITA’ CREATIVE Expectation: mi dedichero’ ai lavori creativi come se non ci fosse un domani. Posso finalmente finire il maglione all’uncinetto, la mia sciarpa ai ferri, la tenda per il mobile in bagno. Posso iniziare a dipingere su tela, anche se e’ per la prima volta, sara’ un’avventura! Posso completare il libro ‘Disegnare con la parte destra del cervello’ – dando finalmente senso a un acquisto di 8 anni fa. E’ una vita che aspetto questo momento!
Reality: Il maglione all’uncinetto l’ho iniziato (disfatto e ricominciato almeno tre volte) e accantonato, il tutto accompagnato dalla visione de The Durrells. Ogni lavoro a mano ha bisogno del suo sottofondo fidato, non una prima visione, ma decisamente un re-watch disimpegnato. Qualche giorno fa ho ripreso a lavorarlo e non faccio altro che notare come i punti mi stiano venendo diversi. La domanda e’: ho cambiato uncinetto o e’ cambiata la mia mano? Prevedo di disfare le ultime 10 file di lavoro per rifarle con un uncinetto piu’ piccolo -che sara’ forse quello che avevo usato in partenza. Manco a dirlo una manica, o il principio di una di esse, e’ stata disfatta almeno 3 volte. La sciarpa e’ stata disfatta solo un paio di volte – l’ultima volta che e’ successo era quasi finita ma era troppo corta. L’ho quindi disfatta per farne una piu’ stretta e piu’ lunga – tipo Gilmore Girls, tipo primi anni 2000, tipo qualcosa che non protegge dal freddo, ma e’ tanto caruccia. La tenda per il mobile in bagno mi ha tenuta occupata per qualche giorno e ne ho completata forse meta’. Ora e’ abbandonata da quasi tre mesi. Onestamente? Non mi va di mettermici. Per riprenderla gia’ so che dovro’ avere piu’ di qualche giornata, il monocamera e Netflix tutti per me. Le tele prendono polvere da quando le ho comprate quasi un anno fa. Scegliere quale soggetto rappresentare e’ molto piu’ sconfortante del vederle ancora incellofanate. ‘Disegnare con la parte destra del cervello’ non l’ho manco preso in mano.
LETTURE Expectation: leggero’ il mondo!
Reality: i libri che non ho sono sempre piu’ attraenti di quelli che gia’ ho da leggere. Oltre a questo dettaglio su cui si puo’ lavorare, perche’ ho sempre una scorta importante e qualcosa trovo, la mia capacita’ di concentrazione (che e’ sempre stata una farfallona) e’ in vacanza dal primo lockdown. Forse e’ una reazione di difesa all’immensita’ di informazioni, opinioni e terrorismo psicologico a cui siamo esposti, della serie: se non mi ci concentro, nulla puo’ farmi male. Ora sto leggendo libri di racconti, al ritmo di un racconto ogni due giorni. Sono ben lontana del leggere il mondo.
LAVORI DOMESTICI Expectation: adesso si’ che ho il tempo di tenere la casa in ordine. Non mi sfuggira’ nulla! Potro’ finlamente prendermi cura dei mobili, spolverare, passare l’olio sul legno, pulire vetri e vetrine. Dominero’ i cicli della lavatrice e avro’ la meglio sulla mia trascuratezza informale.
Reality: Credo che i miei ragni di casa pensino di essere morti e di aver raggiunto il paradiso dei ragni, nessuno gli da’ fastidio e nulla cambia di posto. Il mio credo domestico si riassume in: – sono una persona riuscita se piego e metto a posto i miei vestiti prima di mettermi a letto -mica cotica; – la casa e’ a posto una volta che il divano e’ in ordine; – meglio che non mi metta a spolverare perche’ oramai potrei sollevare una quantita’ di polvere letale – e non e’ il caso di rischiare di farsi un viaggio al pronto soccorso.
FINANZE Expectation: risparmiero’ tanti di quei soldi…!
Reality: qualcosa ho risparmiato. Comunque, cosi’ come ci si abitua alle situazioni, cosi’ si trovano modi per spendere che sono diversi da quelli pre-pandemia. Ora sto cercando di riprendere le redini delle mie finanze, perche’ tra straordinari che non faccio, regali che spedisco ai familiari in Italia e piccole spese per coccolarsi, fumarsi la mensilita’ e’ un attimo.
SESSO Expectation: con tutto questo tempo a disposizione, vuoi che non…? Eh!
Reality: no.
PASTI Expectation: dato che non andiamo a lavoro, riduciamo i pasti a due al giorno: colazione (anche salata) e cena anticipata. Questo ci aiutera’ sicuramente a limitare i chili che metteremo su.
Reality: saper concentrare le stesse calorie (e molte di piu’) di tre pasti in due e’ un mio talento innato. Non solo abbiamo perso tono muscolare, ma abbiamo messo su peso e non ne vogliamo sapere di saltare il dolce, nemmeno per un giorno! Se qualcuno dovesse provare a togliercelo da davanti, siamo pronti a mordere.
ESERCIZIO FISICO Expectation: pratichero’ giornalmente dell’esercizio fisico! Viva il pilates!
Reality: Si’, ok, vabbe’, ma chi me lo fa fare? Dopo qualche settimana di pilates giornaliero – in cui l’istruttrice parlava di muscoli e tensioni che non sentivo proprio- il pilates e’ andato a farsi benedire.
ESERCIZIO FISICO II Expectation: Ok, pero’ andro’ a fare una passeggiata lunga tutti i giorni!
Reality:more like una passeggiata lunga due volte a settimana.
ESERCIZIO FISICO III Expectation: Allora, no. Usciro’ tutti i giorni, anche per tratte brevi, ma tutti i giorni pero’! Anche con la pioggia, basta coprirsi!
Reality: Ho tutto cio’ che mi serve a casa, cosa esco a fare? E’ arrivato il freddo, perche’ uscire? Piove? Ma che stai fuori?!?
Pardon my French. Appunto, scusate il titolo truce, ma non c’era altro modo di definire un paio di film che ho visto di recente. Dopo aver finito il re-watch di Breaking Bad e concluso per davvero la storia con El Camino, io sarei anche passata al re-watch di Better Call Saul (spin-off di Breaking Bad), ma il fidanzato si e’ rifiutato per prendersi una pausa da Walter White e dalla malavita di Albuquerque. Il problema e’ stato che, per riprendersi dalla cupezza degli ultimi episodi della serie, ci siamo buttati su film leggeri, ma leggeri in senso becero. Una volta preso questo filone, anche allontanandoci dai film leggeri, siamo comunque, involontariamente, rimasti nella categoria dei film beceri. Due delle nostre scelte recenti non mi vanno giu’: Behind Her Eyes (che poi e’ una miniserie) e Siberia. Entrambi sono su Netflix, almeno qua in UK.
So, where do we begin?
Spoilers senza pieta’ a seguire!
Behind Her Eyes e’ una miniserie di 6 episodi tratta dal romanzo di Sarah Pinborough. Non ero a conoscenza della storia ne’ del romanzo prima della visione, altrimenti forse l’avrei evitata. Una volta che inizio la visione di qualcosa, di solito la porto a termine per vedere dove vada a parare. C’e’ chi lo chiama autolesionismo, e c’ha ragione, c’ha! La miniserie e’ classificata come thriller psicologico – perche’ ‘thriller campato in aria’ pareva brutto. Scusate, il pubblico sembra adorare questa serie, mentre io non le vedo ‘sta gran ragione d’essere e quindi le trovo tutti i difetti. Infatti secondo me: ci si poteva fare un film (invece di sei episodi da 50 minuti, anche se il film lo avrei perculato comunque) e l’uso del paranormale nei thriller e’ di un paraculo che levate!
Dunque, in Behind Her Eyes, David e’ uno psichiatra (professione ricorrente nei thriller, soprattutto quando gli stessi hanno zero insight) che si trasferisce a Londra con la moglie. Una notte esce a bere qualcosa da solo e incontra Louise, madre single bidonata dall’amica la stessa sera. I due si piacciono all’istante, bevono insieme (la misantropa in me annuiva scettica) e concludono la serata con un bacio. Il giorno dopo (o poco dopo) Louise scopre che David e’ il nuovo psichiatra assunto nello studio nel quale lei lavora da segretaria – do you smell the cliche’ yet? I know I do. Riducendo la storia in poche righe: Louise finisce per diventare amica di Adele (moglie di David) e ovviamente David e Louise finiscono ripetutamente a letto -ma anche sulla di lui scrivania dello studio, se e’ per quello. Si crea quindi questo triangolo tra David, Adele e Louise. Si capisce che qualcosa non torna nel rapporto matrimoniale e, a turno, i due si comportano in modo ambiguo, per poi contendersi lo scettro della vittima. I due coniugi sembrano costantemente far riferimento a ‘qualcosa’ successo nel passato e che non deve ripetersi -la solita tiritera dei segreti nei thriller, quando non c’e’ migliore segreto di quello a cui non si fa costantemente riferimento. Si scopre poi che la coppia si e’ trasferita a Londra a causa di un presunto tradimento di David. Le corna si rivelano poi semplicemente uno scambio di chiacchiere al bar, davanti alla colazione: barista – David, sembri infelice David – Io e mia moglie abbiamo dei problemi barista – Pensi che il tuo matrimonio meriti la pena che tu sia infelice? A causa di questo, la povera barista viene pesantemente minacciata da Adele – ma roba da violazione di domicilio e danno arrecato a cose – e che non le venga in mente di immischiarsi nel suo matrimonio ne’ di chiamare la polizia! Due chiacchiere, al bar, che generano uno dei precedenti/segreti dei due personaggi… Tensione a palate, proprio! Comunque, tra i segreti che appartengono al loro passato, aleggia la possibilita’ di un assassinio – forse i genitori morti in un incendio dal quale, guarda caso, David salva Adele? Ma sarebbe troppo facile – e troppo interessante. Tra le scene del passato di Adele, si vedono anche scene di quando era in una comunita’ di recupero e stringe una stretta amicizia con un certo Rob.
Tornando alla Londra del presente, Louise soffre di terrori notturni -con immagini ricorrenti che non vengono minimamente indagate e analizzate nella serie: che abbiano intenzione di farne una seconda stagione? Ossignur! Adele, che ha sofferto degli stessi terrori, la aiuta a superarli attraverso delle tecniche che, all’insaputa di Louise, la introducono poi ai viaggi astrali – I know, right? WTF! Adele sa compiere proiezioni astrali e cioe’, uscendo dal suo corpo, puo’ visitare luoghi che gia’ conosce e assistere a cio’ che vi sta succedendo senza essere vista. Confesso che non so se sto descrivendo bene questo fenomeno, proiezioni/viaggi astrali, ma il tema e’ di cosi’ poco interesse per me che manco mi sto mettendo a controllare su internet, datevi pazienza. Quindi, a un certo punto, Louise capisce cosa sta succedendo. Cosi’, purtroppo, ci ritroviamo con una Louise paladina della giustizia che si scontra con Adele – e giu’ di “cioe’ si,’ sono finita a letto con tuo marito, ma tu sei una manipolatrice”. Dall’alto del tuo piedistallo di rettitudine, Louise, facci sognare! Quando Louise inizia le sue indagini e si arriva a questo momento, e’ effettivamente iniziato il mio scazzo con la miniserie e i suoi personaggetti. Confesso di avere un problema con il momento in cui, in tutti i thriller, il personaggio che ha capito, affronta da solo il cattivo. La goffaggine teatrale di questo momento mi provoca sempre disagio e imbarazzo, sia nei film che nei romanzi. Lo trovo irreale (sei da solo -complimenti! – davanti a un criminale e gli dici “so cosa hai fatto e lo diro’ alla polizia”… Ma sei cretino? Dillo che vuoi morire!) e spesso tirato per le lunghe -come quando il cattivo e’ armato, la pistola e’ puntata pero’ si prende il tempo di spiegare il suo movente e i dettagli del suo modus operandi… Ma prendersi un break e parlarne davanti a una pinta, no? Comunque Louise, madre single, lavoratrice indefessa e paladina della giustizia, non puo’ essere una brutta persona – ti si scopa il marito, ma poi non ti vuole male se te la prendi! Quando riceve degli sms di addio di Adele -che appare sopraffatta dagli ultimi eventi, tra cui il fatto che David vada dalla polizia (in Scozia, perche’ a Londra non ce n’e’, evidentemente)- Louise, pensando possa togliersi la vita, cosa fa? Ma va a salvarle la vita, no? Non e’ che chiama la polizia e un’ambulanza e se ne sta a casa -perche’ e’ da sola, ha un figlio minore e deve proteggersi. No, corre trafelata a salvare la vita a quella che ai suoi occhi e’ un’assassina pazza da legare. Una volta arrivata sul posto, come salva la sua miglore amica di sempre? Ma con le loro tanto care proiezioni astrali! I loro spiriti (anime, persone interiori? whatever) si incontrano, MA si scambiano. Adele entra nel corpo di Louise e fa fuori Louise nel suo corpo rivelando che tutto cio’ rientrava nei suoi piani. Nel colpo di scena finale, plot twist che non avevo previsto, scopriamo che lo spirito di Adele (anima, persona interiore, whatever) non e’ davvero il suo, ma quello di Rob. Rob aveva tempo addietro scambiato la sua anima con quella di Adele. Una volta nel corpo di lei, aveva ucciso e occultato il corpo di Rob -con l’anima di Adele dentro. Ai tempi post rehab, si era creato un triangolo tra Rob, David e Adele e si intuisce che Rob nutra dell’interesse per il fidanzato dell’amica. Quello scimunito di David accetta per amore di Adele di tenere occultato il corpo di Rob (morto per overdose, secondo quanto gli viene detto) e se la sposa pure, come se dal fidanzamento al matrimonio non fosse successo nulla nulla che potesse fargli cambiare idea. Scusate se qui sfodero la mia furia saccente, ma i personaggi maschili tormentati, ma passivi e sprovveduti proprio non li digerisco, e’ stata una piccola soddisfazione personale vedere David sposarsi e risposarsi Rob, eccheccazz! Rob, a proposito, qualcuno te lo deve dire: ti stai scopando uno a cui sta bene che il tuo cadavere sia nascosto e abbandonato in un pozzo? How is that working for you?
Detto questo, credo che siamo tutti d’accordo che un thriller debba avere una struttura granitica, in cui ogni elemento e’ necessario e ben inserito, i personaggi sono ambigui ma con moventi chiari e coerenti e le dinamiche sono ben intrecciate. Se proprio volessimo la luna (e noi la vogliamo), direi anche che la storia dovrebbe saper evitare i cliche’. Un’analisi approfondita dei personaggi dovrebbe bastare per evitare luoghi comuni triti, tipo la moglie trascurata che tradisce il marito col primo che trova, la paziente che finisce a letto con il suo psichiatra, il marito che va letto con la segretaria, per dire. Rob/Adele vuole stare con David ed e’ pronta a tutto per riuscirci, e ok -e’ una pazza scatenata, ma ok. Louise e’ innamorata di David, viene coinvolta nel suo matrimonio e si sente in colpa verso Adele, ok. David? David si sposa una che ritiene che occultare un cadavere sia una cosa accettabile, poi guarda caso, il matrimonio non funziona. Secondo me David e’ davvero debole come personaggio, ma forse ci sono piu’ elementi che verranno analizzati nella seconda stagione? Quindi ricapitolando: viaggi astrali (ma vero?), tradimenti (cliche’ alarm: dingdingding!), scene di sesso in abbondanza (perche’ senno’ pare che non valga la pena girare un film), Louise e’ l’eroina, David rimane bamboccione, Adele e’ Rob. Questa e’ una delle poche volte che mi trovo d’accordo con la critica -che e’ stronza per natura e io sono evidentemente inacidita dall’ennesimo lockdown. The Guardian si e’ pronunciato con “who knew threesomes could be so boring” e mai parole furono piu’ calzanti! Leggendo invece i pareri del pubblico, e’ evidente che non ci ho capito molto. Tutti sembrano aver previsto il plot twist (ignorante io) e tutti sembrano aver colto indizi e suggerimenti fin dalla prima puntata, macche’, dal trailer!
Ricapitolando gli elementi che mi rimangono indigesti: – Adele, che poi e’ Rob, non mi torna proprio. Rob vive in una casa popolare con la sorella e il di lei fidanzato nella periferia di Glasgow. Il personaggio non e’ di estrazione sociale alta, sfoggia un linguaggio colorito, un accento inconfondibile ed e’ molto informale, quando non e’ strafottente. Adele e’ di una famiglia probabilmente nobile, ricca sfondata, con un castello e una tenuta da fiaba. I due hanno due vissuti chiaramente distinti. Non appena Rob diventa Adele, Adele non tradisce nulla della persona che e’ realmente… Really? Adele aleggia algida, con abiti sofisticati, trucco, manicure e capelli perfetti – pure piu’ perfetti di quando Adele era Adele- e prepara piatti raffinatissimi in cucina -come nella migliore tradizione della periferia di council houses di Glasgow… Come no! Poi secondo il pubblico, no, assolutamente, Adele ricorda palesemente Rob, col caschetto ordinatissimo e in pigiama di seta senza una grinza. Anzi, e’ proprio questa sua estrema sofisticatezza che ci fa capire che in realta’ e’ Rob. ? Evidentemente non so cogliere le sottigliezze. – il paranormale in un thriller puo’ risolvere qualsiasi situazione. Può far viaggiare i personaggi nel tempo, può fargli leggere i pensieri, può farli tornare dal regno dei morti e farli volare, ma come si inseriscono questi elementi in una storia con personaggi e dinamiche ancorate alla realta’? Vuoi usare cose strambe? Vai di fantascienza, vai di distopia, le soluzioni ci sono, autori, usatele! – la moda delle madri single che diventano le eroine delle storie contorte in cui si trovano coinvolte, mi sembra diventare sempre piu’ un nuovo cliche’ – perche’ poi single? Le mogli non hanno una personalita’ propria? Le single sono piu’ in balia degli ormoni? (Biased much?) Le single sono piu’ indifese? Molte delle madri single rappresentate sono nere: ci sono ragioni dietro a questo? Conviene indagarle o e’ meglio non sapere? E’ vero che e’ innegabile che il women empowerment ultimamente trasuda da molti film e romanzi. E’ interessante come cambiamento dal passato, ma si dovrebbe anche fare attenzione a non farlo diventare una moda superficiale. Affidare il ruolo centrale a una donna puo’ essere interessante, ma non e’ tutto. Se la donna poi viene descritta come un cliche’, allora non e’ piu’ empowerment, e’ solo un’espediente degli sceneggiatori per metterla in balia di situazioni trite e stereotipate. E questo non riguarda solo i personaggi femminili. Non so se sono solo io, ma in questa tendenza a celebrare le donne (poi analizzate poco e male), si e’ arrivati a rappresentare personaggi maschili che sono solo opachi e insulsi (David, si’, sto parlando di te) quando non violenti e riprovevoli. Possiamo creare dei personaggi sfaccettati, solidi e interessanti? Sia donne che uomini che LGBTQ+, grazie; basta co’ ‘ste supereroine in un mondo di maschi inetti, gay estroversi e sopra le righe e lesbiche mascoline e seriose. Ops, forse mi sono allontanata dal tema, ma il mondo doveva sapere il mio punto di vista! Prego.
Tornando a noi, film demmerda number ciu’
Siberia Se una sera doveste avere bisogno di un film brutto, Siberia non delude. Questo, mi duole dirlo, e’ piu’ demmerda della miniserie, perche’ due cose dalla miniserie le avrei pure salvate (il plot twist e la fine che fa David), ma questo film proprio non riesce a redimersi. Mi duole essere cosi’ inviperita con questo film perche’ c’e’ Keanu Reeves – che tra l’altro l’ha anche prodotto.
In poche parole, Lucas (Keanu Reeves) e’ un commerciante di diamanti che viaggia in Russia per una vendita importante e si ritrova in una situazione piu’ grande di lui. Il suo contatto a Mosca, Piotr, e’ sparito con i diamanti e il gangster che li vuole acquistare da’ a Lucas 24 ore per consegnargli le pietre preziose. Nella speranza di rintracciare il suo contatto locale, Lucas viaggia a una localita’ in Siberia, in cui non trova Piotr, ma si bomba la barista perche’ si’. Come wikipedia spiega tutto cio’ e’ ancora meglio: “he (Lucas) goes to a cafe and starts a fight with two men and the cafe owner Katya saves him. Later, her brother Ivan suspects her of sleeping with Lucas. So she asks him to sleep with her.” Di una logica disarmante, no? Lucas poi incontra il gangster a Mosca il quale, com’e’ da tradizione, propone a Lucas di scambiarsi le donne (Katya era con Lucas) per farsi fare una fellatio e stringere cosi’ (?) un’alleanza piu’ solida (?) in vista della consegna dell’intera partita di diamanti. … Let that sink in. Qui wikipedia non sbaglia quando riassume l’incontro dicendo che Katya is raped. Costringere qualcuno a fare sesso orale e’ stupro, quindi grazie wikipedia per chiamare cio’ che succede per quello che realmente e’, perche’ il film lo usa quasi come un espediente per rafforzare l’amore tra Lucas e Katya. Sceneggiatori, ma sarete scemi? Qua e’ quando ho sperato che alla fine sarebbero poi comparse piu’ ramificazioni nascoste a questa storia inutile. Speravo di scoprire che Katya fosse il braccio destro del gangster e che Lucas fosse vittima di una trappola ancora piu’ complessa. Ho anche sperato che Katya fosse della polizia e che buttasse sia il malavitoso che Lucas in carcere, a vita. Ho sperato che Katya facesse fuori Lucas con le sue mani o che almeno almeno scatenasse (in piena tradizione mediterranea, non c’entra nulla, vabbe’) i suoi fratelli contro Lucas. Che almeno pretendesse meta’ dei soldi per i diamanti, visto che il gangster se lo era subito lei. Ma sono un’illusa! In breve, i diamanti veri non compaiono da nessuna parte, Lucas rintraccia Piotr morto in mezzo al nulla e decide di non tornare negli Stati Uniti, ma di morire in Russia da uomo d’onore quale e’. E qua mi sentirei di ricordare a Lucas che e’ un commerciante di diamanti che fa affari con gangster senza scrupoli… Quale onore, di grazia?
A meta’ film ho detto al fidanzato che mi ero distratta e che avevo perso il filo (come mi succede spesso), ma mi ha risposto che non c’era ne’ filo ne’ senso. In sunto, riassumerei la storia come un’accozzaglia imbarazzante di brutture gratuite, stereotipi negativi sulla Russia e banalita’ sull’amore che manco il buonismo più bieco. La contrapposizione tra matrimonio stabile, ma senza amore (perche’ Lucas è sposato) e passione travolgente, ma senza futuro e’ di una banalita’ allucinante. L’uomo che non si sottrae al suo destino quando le cose si mettono male e’ presentato come un esempio di coraggio e onore, anche quando quel destino se lo e’ bello che creato, pezzetto per pezzetto, senza traccia di etica.
Riconosco che Reeves non e’ l’attore piu’ intenso sul mercato e il pathos lo scansa spesso abbastanza bene, eppure mi e’ sempre piaciuto per le scelte lavorative originali che ha fatto – cioe’, Matrix? Ci sono attori dalla recitazione piu’ nuanced che hanno fatto film meno interessanti, per dire. Pero’, davvero, Keanu, perche’? Perche’ fare un film cosi’ brutto?
L’ultima stagione di Dawson’s Creek si trascina che ormai faccio fatica ad avere voglia di finirla -o meglio la mia voglia di terminarla viene dalla voglia di liberarmene e basta.
*Attenzione, seguiranno spoiler -anche se la serie e’ ormai attempatella, vi capisco se non l’avete ancora vista, io l’ho iniziata per la prima volta solo qualche settimana fa.*
Se dovessi riassumere Dawson’s Creek in poche parole direi che e’ un teen drama-coming of age in cui un gruppo di amici va a letto con tutti gli amici del sesso opposto. Vorrei sottolineare l’elemento fantascientico che non viene menzionato tra i generi della serie, ma si puo’ dedurre: questi vanno a letto tra di loro (e i di loro amici e fratelli) ma rimangono comunque amici. Ecco, per alcuni tutto cio’ sara’ realizzabile, per la sottoscritta e’ pura fantascianza. Questi si scambiano compagni e, per lo piu’, non fanno grandi scenate. Dawson non la prende bene quando Joey e Pacey confessano di amarsi, ma viene raffigurato come uno che overreacts. Da overreactor nata, a me qualche scena di insulti, di mandarsi a quel paese e spaccare due cose non dispiacerebbe. No, perche’ qua la normalita’ sembra lasciarsi di punto in bianco (alle feste poi!) senza manco una spiegazione e augurarsi il meglio l’un l’altro. Cosi’ le feste mi farebbero montare un’ansia anticipatoria che levate! E le rotture comunque non tirano fuori il meglio di me.
Considerando tutta la serie -che ripeto, non ho ancora finito di vedere – credo di poter dire che le stagioni ambientate a Capeside, quando tutti i ragazzi andavano ancora a scuola, mi sono piaciute molto di piu’. Nonostante, in genere, mi piacciano molto le singole puntate delle serie ambientate in posti diversi dal solito -per vacanze o lavoro dei personaggi -, mi piacciono comunque le serie che hanno anche un’ambientazione stabile, con caratteristiche rassicuranti. Queste ambientazioni diventano anche un personaggio in piu’ e si ricordano con affetto, come faccio con Stars Hollow di Gilmore Girls o la casa di Monica di Friends. Quando tutti i personaggi principali lasciano Capeside per Boston secondo me si perde un po’ di collante e non se ne crea di nuovo. A una location stabile seguono anche personaggi secondari stabili -che per me fanno la differenza -, e quindi parenti, insegnanti e amici secondari apportano momenti di comic relief o tematiche che non sono strettamente legate alla vita dello studente medio – e spaziare e’ sempre meglio del rigirare la stessa minestra di verifiche in classe e amorazzi.
Il mio personaggio preferito della serie e’ Grams, la nonna di Jen -ok, questo e’ il momento in cui mi direte che non c’ho capito niente di Dawson’s Creek. Secondo me la signora e’ ben definita in cio’ in cui crede, ma non per questo non si ammorbidisce nel tempo -alla fine riesce anche a pronunciare la parola penis senza rimanerci. E’ saggia, simpatica e anche solo con la sua presenza tocca la vita dei ragazzi ed e’ un punto di riferimento; e poi, quando da pensionata vedova si trasferisce a Boston da un paese, si puo’ permette una super casa piena di camere – misteri delle serie americane. Il personaggio con cui invece piu’ mi identifico e’ Dawson, e sospetto che questo sia molto uncool da parte mia – ma forse that ship has sailed con la mia confessione di amore per Grams. Direi che tra l’immedesimazione e il wannabe c’e’ una linea sottile. Mi identifico con la sua vita sentimentale inizialmente sfigata, con il suo incrollabile amore per Joey – anche le mie cotte prendevano radici piu’ profonde di quando fosse forse giusto – e anche con il fatto che sia un adolescente piuttosto privilegiato, ligio alle regole e legato alla famiglia. Direi anche che mi identifico con il suo ugly crying – never forgotten dal mondo delle meme – e la propensione all’autoanalisi paralizzante. La compotenente wannabe della mia propensione per il personaggio di Dawson e’ che vorrei avere anche io una passione cosi’ forte da costruirci il mio futuro sopra – anche se nessuno gli risparmia mazzate nel percorso. Per quanto invece riguarda gli altri personaggi:
Joey, da quanto deduco, e’ l’eroina della serie, quella che non sbaglia, e che pure quando sbaglia, pero’ infondo non sbaglia. Bella, ma semplice, brillante ma non spocchiosa, indipendente ma non stronza (distinzione che io fatico ad applicare nella mia vita). Non e’ che nella vita sentimentale sia un fenomeno, che’ pure lei si fa di quelle paturnie che manco il pre-ciclo. Eppure quasi non la si vede in un momento di deriva, di sbando esistenziale – quante volte si ubriaca? Un paio? Ma forse, e comunque non si disfa come noi mortali. Vabbe’, non e’ che la personalita’ si misuri dalle ubriacature… La cosa che di Joey proprio non mi spiego, ma proprio non mi capacito, e’ vederla camminare per strada e uscire di casa SENZA borsa. Ma e’ matta?
Pacey, il comic relief con la famiglia disfunzionale. Per me il personaggio assume una certa rilevanza sexy quando inizia a lavorare da cuoco (sorry, deformazione personale), ma il sex appeal fa seppuku quando lo si ritrova nell’ultima stagione con un pizzetto che Dio ce ne scampi. Pacey e’ quello che, zitto zitto, tromba piu’ di tutti, pure Jen secondo me non tiene il passo, a dimostrazione che la comicita’ paga. Purtroppo gli sceneggiatori gli fanno mettere la testa a posto nell’ultima stagione e lo vediamo in completo e cravatta – perche’ la ristorazione non sembrava un campo abbastanza serio per maturare, un ufficio prototipo del maschilismo tossico invece si’.
Jen, la mangiauomini di 16 anni scottata dalla vita. Quando Jen parla della sua vita dissoluta di New York (dove viveva prima di venire esiliata a Capeside) e poi accenna a quando ha perso la verginita’ a me quasi e’ andata di traverso l’acqua che stavo bevendo. La mia vita sentimentale non e’ propriamente stata una valle di lacrime ma un deserto dei tartari si’ pero’. Riconosco di non essere granche’ al corrente di quando e come le ragazze si affaccino di norma ad una vita sessualemente attiva, ma Jen mi e’ sembrata un esempio particolare in merito, non proprio da prendere come pietra di paragone. Anche le modalita’ dell’inizio della sua vita sessuale sono davvero discutibili, modalita’ per cui ora si parla di abuso, di stupro e di me too, ma ai tempi forse pareva brutto -o forse la volevano presentare come una cautionary tale, come se lei avesse responsabilita’… Lasciamo perdere. Jen (senza borsa, pure lei!) dalla camminata priva di grazia, i tagli di capelli che a una certa non collaborano piu’ e il viso, secondo me, bellissimo, nell’ultima stagione e’ quasi non pervenuta (come Grams, cacchio!) – ed e’ un peccato perche’ i personaggi presi singolarmente sono ok, ma non intrattengono tanto quanto quando sono insieme.
Nella serie ricorrono anche molti altri personaggi ma questi tre e Dawson sono quelli che ci sono in tutte ma proprio tutte le stagioni.
Ho capito che quando si guardavano le serie una puntata a settimana, gli autori potevano ancora permettersi qualche svista, qualche incoerenza nella definizione dei personaggi e nella consequenzialita’ degli eventi; gli spettatori tra una puntata e l’altra si scordano dei dettagli e non e’ la fine del mondo. Oggi che pero’ ci spariamo piu’ puntate al giorno e tutte le stagioni in una tirata unica, le magagne degli sceneggiatori vengono a galla. Capisco l’espediente per introdurre tematiche diverse (anche senza poi trattarle davvero), capisco gli attori che hanno altri lavori e quindi latitano o spariscono con spiegazioni che ti chiedi “ma picchi’?”, capisco anche che le storie d’amore solide sono noiose sullo schermo e il tira e molla permette di allungare la minestra, assicurarsi un lavoro e pagare il mutuo… Eppure, diamine, a volte mi chiedo cosa stia guardando! E io sono una che difende il trash! Da quando i ragazzi lasciano Capeside e tutti sono stati eterosessualmente con tutti (financo Jack si e’ limonato sia Joey che Jen), gli autori si trovano orfani di idee, sia mai si introducesse un personaggio nuovo piu’ interessante di quelli storici – che non ci vorrebbe poi molto. E quindi ci si ritrova con un Eddie – il tipico personaggio che mi provoca l’orticaria: l’incostante (che, insomma, come caratteristica abbondava pure prima che arrivasse), quello che frequenta l’universita’ pur non essendo iscritto, quello che spicca per essere piu’ bravo degli studenti stessi, lo scrittore che si incarta alla prima lettera di rifiuto di pubblicazione, il saccente che cerca di aprire gli occhi a Joey e di sfidare i suoi preconcetti salvo poi darsela a gambe quando il padre della stessa gli rivolge due domande sulle sue intenzioni con la figlia… Eddie, nun te smove ‘na cannonata, oh?! Come se non bastasse, ritorna pure e poi ancora un’altra volta. Aahh, l’orticaria! O ci si ritrova con una puntata, che e’ pura imbottituta, per raggiungere le 24 puntate della stagione. Una puntata, signori, in cui gli autori si aspettavano che il pubblico si intrattenesse con lo scambio (surreale) tra Joey e uno (spacciatore, ma, poi si scopre, padre di famiglia) che di notte la deruba e le punta una pistola, che poi si scopre essere scarica. All’inizio ho sopportato pensando che l’evento fosse una premessa alla puntata, macche’?! Quando ho raggiunto la saturazione per il delirio che stavo guardando e ho controllanto quanto mancasse alla fine della puntata, gia’ stavo a due terzi dei soliti 40 minuti… Allucinante. Non e’ solo la mancanza di fantasia degli autori a scazzarmi – e la presunzione che non ci accorgessimo che di tutti i personaggi storici della serie, solo una stesse lavorando in questa puntata. Quello che davvero mi fa reagire male a questa puntata -e per cui ancora ora mi inalbero – e’ lo scambio piccato che avviene tra Joey e il tipo, un lungo -eterno- scambio di battute tra il sarcastico, il brillante, lo sfotto’, la critica sociale… Joey si sciroppa il criminale, si vede svuotare il conto in banca, lo vede poi a terra per un incidente con una macchina, si riprende le sue cose, chiama l’ambulanza (ok, non e’ necessario finire il tipo sul posto, considerando i costi della sanita’ in America, anche chiamare un’ambulanza e’ una punizione adeguata), aspetta i soccorsi e una volta in pronto soccorso, conosciuta la compagna e la figlia di lui, si trattiene anche con loro in sala di attesa. Joey, ma veramente fai? Ma vai a casa! Fatti un bagno caldo, apriti una bottiglia di vino, fatti un piantarello per sfogare lo stress e guardati qualcosa in tv – quando e se te la senti, sporgi anche denuncia. Ecco, quello che voglio dire e’ che, ragazze, quando uno vi intrattiene per strada ed e’ molesto, non e’ necessario ne’ trattenersi con lui, ne’ sfidarlo, ne’ interessarsi ai suoi problemi. E’ piu’ che ok proteggersi e andarsene appena si e’ in sicurezza di poterlo fare, e’ ok anche non entrare in relazione con i problemi di qualcuno che non ha rispetto per voi, ok? Chiaro? ‘Ste tirate infinite per beatificare Joey, anche no. Che’ io ho la coda di paglia e sono malfidata e sento quasi che il tutto venga presentato come un esempio di condotta. E poi non ci sto perche’ sono la cafona che non da’ corda e risponde male quando non si rispetta il mio spazio personale. Un’altra cosa ricorrente, soprattutto nelle ultime stagioni, e’ la tendenza degli stronzi a ravvedersi e porre rimedio ai problemi che creano e alle parole di troppo che hanno detto. Ogni tanto va bene, ma sempre proprio sempre, stucca, poi diventa prevedibile, poi gli ostacoli e le cattiverie generano sempre meno tensione (vabbe’, tanto si risolve tutto!) e alla fine non vedi l’ora che uno stronzo rimanga tale -spero che Eddie non ci deluda in questo.
Piu’ penso a come dovrebbe finire una serie e piu’ mi rendo conto di non saper scegliere. Meglio che la qualita’ di una serie vada scemando cosi’ sara’ piu’ facile dirle addio o meglio che finisca col botto? Considerando la mia lealta’ quasi giapponese a cio’ che mi piace, forse rovinarmi la bocca per qualcosa prima di lasciarla andare, rende piu’ facile il distacco. In questo caso, Dawson’s Creek con i suoi personaggi contraddittori dell’ultima stagione mi sta aiutando moltissimo al riguardo. E’ stato bello, non lo nego, abbiamo avuto i nostri momenti, ma mo basta!
Ho visto una donna, travestita da falco, abbracciare gli avventori all’Oceanografico.
Ho visto un indiano col turbante parlare hon un accento toshano he ‘un ti sto addire.
Ho visto cinesi hablal el idioma del pais de los tolos y de almodoval.
Ho visto americani dire che sentono la mancanza della pizza -perché quella americana è la migliore del mondo (sic).
Ho parlato in spagnolo con un londinese in un pub valenciano che si chiama London.
Ho visto lasagne di tonno e pizze di pollo, al supermercato.
Peggio, ho visto pizza pomodoro,mozzarella, cipolla, pollo e curry.
Ho visto uno svedese esclamare “Madre mia!”.
Ho fatto da interprete tra un polacco che non parla spagnolo e un giapponese che parla poco inglese -io, italiana.
Quota un mese a Valencia.
E comunque sì, tutto sta in come si raccontano le cose ;-)
Valencia, Città della Scienza e io (ecco io sarei quella macchia scura sulla sinistra ;-)
Confusione interiore + voglia di scrivere = elenco puntato
♥Ho appena cancellato una ventina di bozze e mi sento una persona nuova. Oddio… Nuova forse è un po’ troppo, però mi sento decisamente una blogger con una ventina di bozze in meno -sempre che un post senza testo, ma col titolo, oppure un post con una frase sconclusionata e nessun titolo, possano considerarsi bozze e non cartacce buttate troppo tardi.
♥Ho voglia di parlare di qualcosa ma la mia scaramanzia (patologica) e la mia mancanza di creatività mi impediscono di farlo. Ho già notato in passato quanto riesca a scrivere meglio (considerazione decisamente alterata della sottoscritta) quando la mia vita è assolutamente impantanata nel nulla. Vita sociale inesistente? Tante idee. Depressione galoppante? Daje de ironia. Giornate passate a casa a battezzare i mucchietti di polvere agli angoli delle camere? Estro creativo alle stelle (almeno alle mie stelle). Nuova cosa che si affaccia all’orizzonte? La creatività si rintana sotto al tappeto (di polvere), le idee entrano nel panico e girano su sé stesse, l’ironia mi solletica il naso come la coda di un gatto che poi però non si lascia prendere e le paure iniziano a spadroneggiare. A-i-u-t-o.
♥Forse le mie fobie sociali andrebbero sottoposte a un professionista, almeno qualcuno mi dice se la mia è patologia, mania di snobismo o solo mancanza di senso della realtà. Perché, a me, avere a che fare con “gli altri” non piace; a me, gli altri, dal vivo, piacciono davvero poco. No, parliamone, anche l’idea di una relazione con l’uomo ideale inizia a farmi sbuffare di insofferenza; mettiamoci poi che l’uomo ideale non esiste e addio voglia di una vita sentimentale. Ma mettiamoci anche che non sono innamorata -più facile di così…
♥La fine delle feste mi mette sempre tristezza. Se il disaddobbamento dell’albero di Natale dipendesse da me, non avverrebbe mai.
♥La mia insofferenza per i modi di dire freak (o di quelli che considero freak) sta raggiungendo livelli di violenza un po’ troppo marcati. Per l’esattezza la mia insofferenza si genera dai modi di dire: freak, yuppie, ripetuti da più di dieci anni, buonisti, in inglese (perché sono più smart, più trendy, hanno più grip, più glamour), anticattolici (ma smaccatamente superficiali), borghesi. I miei nervi comunque si arrendono a: “oggi come oggi”, “piuttosto che” (usato male), “a 360°” (ODIO!), “quant’altro”.
AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH! …pace interiore… pace interiore…
♥Credo di essermi bruciata qualche idea per il mio post del lunedì, ma vabbe’, sopravviverò.
Vi lascio con un sorriso :-) e portate un po’ di pazienza, ok? Poi mi passa ;-)
Zitti tutti!
Ho scoperto un gelato alla nutella che potrebbe diventare l’ottavo peccato capitale -anzi, so già che se dovesse diventarlo, riuscirebbe anche a guadagnarci (fosse mai possibile aggiungere fascino a cotanta cioccolosità).
Conoscendo ormai l’effetto di questo gelato sui miei sensi -evito la sequela di vocali mugolate nell’annebbiamento del piacere sennò i prossimi scopritori di questo blog ci arrivano con chissà quali chiavi di ricerca; e sai che delusione poi, per loro), intuendo che non mi trascurerà mai per vedere la partita di champions, scommettendo che non lascerà mai il borsone della palestra per giorni in salotto a fare il muschio con il suo contenuto da smaltimento speciale, supponendo che quando avrò bisogno di lui ci sarà sempre, sapendo perfettamente che avere a che fare con lui non comporterà mai l’intrattenimento di una suocera esigente -ma anche se fosse, oh se saprebbe farsi perdonare, oh sì -, contando che le mie mani gelide non saranno mai un problema e che non sbufferà mai per il troppo tempo trascorso a guardare le vetrine, ma, soprattutto, avendo appurato quanto dia il meglio di sé bello ricoperto di panna montata, sapete cosa vi dico?
Ma cosa me ne faccio io del principe azzurro?! Considerando l’iter di discussioni e compromessi, e il venirsi incontro, e l’equilibrio da trovare, e le attenzioni per mantenere vivo il rapporto, ma chi me lo fa fare?
Il mio gelato alla nutella, una volta scoperto, non sta lì a fare il difficile. Lui mi si piazza subito su punto vita e fianchi e non mi molla più, lui. Non ce n’è in giro così. Io, uno così, non me lo faccio sfuggire ;-)
Miss Price e la famiglia Bennet in Lost in Austen (delightful!) – foto presa da qui
Se la mia immaginazione può galoppare senza fatica o limiti di sorta in molti campi (dal sentimentalismo spinto alle scenette esilaranti e così via fino alla costruzione velleitaria di futuri che mai si realizzeranno -insomma, inconsistenza portami via), quando devo immaginare l’ambiente nel quale far muovere i personaggi di un romanzo in lettura, sento il tonfo sordo (STONF! -apprezzasi i miei contributi audio) della mia immaginazione che si scontra con le descrizioni dell’autore. La mia immaginazione è così, non le piace essere imbrigliata o che le si faccia fare quello che vogliono gli altri o che le si dia anche solo una direzione. Che poi non trovo per nulla interessanti le descrizioni dei paesaggi, quelle dei panorami o dei vari luoghi che compaiono in un romanzo. Forse, se conosco la città della quale si parla, ok, ci sta pure che mi diverta -ho praticamente letto Festa mobile di Hemingway con la cartina di Parigi alla mano e sentivo l’aria frizzantina della ville des amoureux sulla pelle, un’invasata, esatto-, ma il più delle volte mi trascino per queste descrizioni ingranando il pilota automatico ed eleggendo, per puro istinto, una casa, o un ambiente, che già conosco per far muovere il protagonista del quale leggo. Per far appena un po’ aderire la mia immagine a quello che l’autore vorrebbe, sposto con nonchalance scale che non si trovano dove sarebbero effettivamente nella (mia) realtà, aumento e riduco impunemente il numero di piani, di camere o di porte a cacchio (non mi veniva un sinonimo :-) improvvisandomi un geometra pazzo e sfidando le più elementari leggi della fisica.
Parenti e conoscenti ancora non lo sanno, ma ho subaffittato le loro case a noti (e anche meno noti) personaggi letterari per non fare la fatica mentale di edificare e arredare nuove case a ogni romanzo che leggo.
Ad esempio, mia zia non sa che Elizabeth Bennet (Orgoglio e Pregiudizio) ha ricamato a casa sua e ha passeggiato nel suo giardino. C’è da dire che la casa, in quanto a location per romanzi, tira abbastanza e credo che sia proprio per il giardino. Ad esempio anche i personaggi di Quella sera dorata di Peter Cameron si sono aggirati per la stessa casa -anche se per quella occasione ho dovuto tirare su un paio di piani immaginari abusivi, e una torre mi sa -; ma ci sono state anche Emma -ho nella mente suo padre che mangia il semolino nella sala da pranzo dei miei pranzi di famiglia della domenica -e l’eroina de L’abbazia di Northanger (sempre Jane Austen) -seduta nel salotto all’evenienza privato del televisore (e lo stereo e i libri pubblicati dal 1800e qualcosa in poi) e con i divani di poltrone & sofà sostituiti da sedie imbottite.
La casa precedente della stessa zia l’ho invece affittata a Jake Jackson di Eureka street (Robert McLiam Wilson) traferendola, per l’occasione, a Belfast -poche, pochissime modifiche in quel caso, a parte il cambiamento di nazionalità, ovvio.
Anche mia cugina ignora quanto sia quotata casa sua tra Possessione (Antonia Byatt) -portata a piano terra e saturata di pipì di gatto, odore che non caratterizza affatto la casa nella realtà -, Scritto sul corpo (Jeanette Winterson) -anche se quel corridoio l’ho fatto stare a forza dove non era- e Firmino (Sam Savage) -cugina, ti ho fatto dividere l’appartamento con un topo: nulla di personale, giuro.
Un’altra casa richiestissima dalle mie letture è, stranamente, quella della famiglia irlandese che da adolescente mi ha ospitato per due settimane, sarà per la struttura anglosassone: la villetta a schiera, la scala per il secondo piano nell’ingresso, il giardinetto sul retro. Praticamente i proprietari, senza saperlo, hanno dato uno scenario a due romanzi della Szabò (La porta e Via Katalin), alle Correzioni di Franzen -che ci vuole ad aggiungere una cantina? -, a Ragione e Sentimento -nulla di più facile che buttare giù le case adiacenti, isolarla e trasformarla in un cottage -, a I cani di babele della Parkhurst -l’albero in giardino è cresciuto alla velocità della lettura -, a La cosa più dolce di Doris Lessing -effettivamente, è forse con questo libro che ho inaugurato la cantina de Le Correzioni -e a La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo (Audrey Niffenegger) -cosa sarà mai aggiungere uno studio d’arte in giardino? Se mi dovessero richiedere una quota per ogni volta che uso e trasformo casa loro, faccio prima a comprarla tutta, la casa.
Myriam invece ha scritto le sue lettere a Yair (Che tu sia per me il coltello) nella casa in campagna di una mia compagna di classe. L’avvocato Malinconico (Non avevo capito niente) ha fatto colazione nella cucina della mia amica negata in matematica -nella cui casa, tra l’altro, abitava il protagonista di 1984; faranno a turno per la doccia? James (Un giorno questo dolore ti sarà utile) ha abitato nell’appartamento di mio cugino in Canada, La rilegatrice dei libri proibiti in una casa nella quale sono stata per qualche mese e i malati di Padiglione Cancro sono stati ricoverati nel mio liceo (tanto per chiarire: l’edificio del mio liceo è nato per ospitare una clinica).
Riconosco che leggere questo elenco non è divertente quanto metterlo insieme (mi si può tuttavia contestare la mia idea di divertimento, non m’offendo).
Immaginare Elizabeth Bennet a casa di mia zia, farla vivere in una camera nella quale poi entro anche io, oltre a facilitarmi il lavoro di immaginazione, mi fa sentire un po’ più dentro al romanzo e un po’ più vicino a Elizabeth. Anche se quando Jane Austen ha immaginato Elizabeth la casa di mia zia era ben lontana dall’essere concepita -oddio, anche mia zia era lontana dall’essere pensata, e i miei nonni, e i miei bisnonni. E chissà a quale casa avrà pensato la Austen per ambientarvi la storia dei Bennet…
Comunque, con tutte queste modifiche non segnalate, mi raccomando: acqua in bocca col catasto. Tanto poi, finito un libro, butto giù tutto.
E ricomincio da capo con una nuova lettura.
Per ora sono su un aereo, poi vediamo in quale casa mi farà ritrovare il mio istinto -e quali modifiche mi toccherà apportare.
Però, davvero, se avete la mia stessa tendenza, qual è la casa che più utilizzate per ambientare i romanzi che leggete?