Anche se in passato ho fatto resoconti annuali – a parte i miei resoconti settimanali travestiti da scoperte -, quest’anno quasi mi angoscia meno dedicarmici. Probabilmente perche’ mai come quesa volta ho la consapevolezza che l’anno e’ stato un disastro per la maggioranza (quando non e’ stato tragico) e non ha senso fustigarmi per non aver viaggiato di piu’, conosciuto piu’ persone, colto piu’ opportunita’, fatto piu’ piu’.
All’inizio del 2020, il 2 di Gennaio, a lavoro, la mia collega mi ha comunicato piu’ volte con entusiasmo quanto questo fosse l’anno in cui lei avrebbe pulled her shit together. Ogni volta che ci ripenso mi viene da ridere istericamente: c’e’ qualcosa di piu’ destabilizzante del ripromettersi di lavorare duramente su di se’ e sul proprio futuro l’anno di una pandemia?
Credo di aver capito solo quest’anno cosa volesse dire la parola lockdown. Dopo l’esperienza diretta sto davvero cominciando a dubitare di averne conosciuto il significato prima di Marzo.
Qui in UK alcuni immigrati hanno vissuto una fase surreale tra il lockdown nel proprio paese di origine e quello inglese. Sapere cosa stesse succedendo in Italia mi ha permesso di stoccare un po’ di cibarie prima che gli inglesi percepissero il pericolo -quando ancora i dj (vi ricordate i dj?) pubblicizzavano le proprie serate come migliore prevenzione al virus (true story, by the way). Grazie alla consapevolezza del lockdown italiano, ho stoccato anche beni non di prima necessita’ utili a impegnarmi i giorni: puzzle, libri, plastilina, tele e acrilici per dipingere. Ho capito che, non importa quanto ci si prepari, un lockdown e’ piu’ duro e innaturale di quanto ci si aspetti. Ho anche capito che, nonostante la mia propensione alle attivita’ creative e artistiche, ho dei problemi a vivermi bene anche le attivita’ che mi piacciono. Scegliere un progetto, mantenere la motivazione e portarlo a termine senza cambiare idea e ricominciarlo da capo e’ una lotta che mi ritrovo o troppo stanca da affrontare o troppo indecisa da lasciar andare. In entrambi i casi, addio leggerezza! E cosi’ le tele ancora aspettano intonse.
Quest’anno la mia intolleranza per la gente ha raggiunto livelli che pensavo di aver gia’ belli che esplorati in passato. Ogni volta che ho pensato ‘vabbe’ dopo di questa, le ho viste tutte’ no, mi si e’ ripresentata qualche situazione che mi ricordasse quanto la gente continui a essere un pozzo infinito di ragioni per non sopportarla. Anche tutta questa nuova consapevolezza sulle droplets, sulla potenza di uno starnuto e su quanto il lavarsi le mani sia uno sport per pochi, mi ha fatto passare la poca voglia che avevo di avere a che fare con le persone. Le supercazzole complottiste, i ribelli dei decreti anti-contagi e gli incivili del “tutto ma la mascherina no” hanno definitivamente inibito la mia capacita’ di avere rispetto per le capacita’ intellettive umane.
Ho capito che la difesa della propria liberta’ a volte prende la forma di una vera e propria negazione della realta’. Ho iniziato a credere che infondo anche i regimi dittatoriali hanno degli aspetti positivi, tipo la possibilita’ di mettere in riga i castigamatti che fanno proselitismo attraendo altri con lo stesso stato mentale alterato. Ho visto che non importa quanti anni di studio dedicato e specializzatissimo uno abbia alle spalle, un cazzaro che smonti delle prove certificate con teorie che sono l’equivalente scientifico di un rutto si trova sempre.
Nulla come una pandemia, unita alla liberta’ di parola, puo’ farti vedere i lati oscuri degli altri. Qualche tempo fa ci si imbarazzava dei familiari leghisti o 5 stelle sfegatati, adesso ci si ritrova legami di sangue con complottisti e anti-vax – fortuna che non ci si puo’ incontrare, sapete che tavolate di Natale?! Ah, la gente le ha fatte comunque? Come non detto.
Un’altra scoperta dell’anno e’ stata che: tutti pensiamo di essere nel giusto, tutti pensiamo di stare facendo sacrifici insopportabili e tutti crediamo che ci meritiamo una tregua – quando il virus tregua non ne sta dando. Ho anche notato che quando inizio a infervorarmi per questa pandemia di cui siamo ormai stufi, non riesco a controllarmi e mi viene da inveire, sbraitare e puntare il dito…
Tornando a noi, quest’anno ho cucinato come se non ci fosse un domani, ho esplorato nuove cucine e ricette mai provate prima. Ancora mi chiedo se convenga provare piatti per la prima volta a casa -come faccio a valutare le mie pupusas se non ne ho mai assaggiate prima? Il dilemma rimarra’ irrisolto. Credo che la cucina si sia rivelata comunque una valvola di sfogo (o un’ossessione) che non solo serve a nutrirmi, ma anche a sublimare, premiarmi, coccolarmi e negare che il mondo stia andando a rotoli. I miei pantaloni non ne vogliono sapere di collaborare e allora indosso molti piu’ vestiti dell’anno scorso, quando si dice una situazione win-win – o quasi. Ho sempre avuto un debole per i dolci e, in lockdown, lo zucchero – e l’alcol ogni tanto – sono stati le mie drugs of choice. Chi ci ha guadagnato da tutto questo? Il mio dentista, lo stesso che una settimana fa mi ha trovato un principio di quattro carie. Un principio, si’, ma sempre quattro sono. A Natale la mia azienda ha avuto giorni di chiusura extra e ho ricevuto dei soldi in piu’ sulla busta paga. La cifra, anche piuttosto buona, andra’ dritta dritta a coprire le otturazioni. Da giorni oscillo tra il provare sollievo -perche’ i soldi extra alleggeriranno la spesa e mi aiuteranno a prendermi cura di me – e il maledire la mia prevenzione inefficiente e la mia dieta. Non potevo essere una patita del salato?
A Luglio, quando la mia mente e’ partita per la tangente e ha deciso di disseppellire angoscie passate (perche’ non ho mai buttato la mappa), ho iniziato il mio ennesimo percorso di psicoterapia. Anche se sto iniziando a vedere dei risultati pratici – la mia ansia ha delle ripercussioni fisiche il cui miglioramento e’ facile da monitorare e ho davvero bisogno di una vittoria facile ogni tanto -, a volte mi sento infilarmi nei vecchi tunnel senza uscita. Quello che ho anche notato, dall’inizio della terapia, e’ che quando partono certi pensieri, la mia mente cerca di ripendere le briglia e quasi si comporta come una voce saggia (la mia mente?! Saggia?!) che cerca di ammansire quelle brutte bestiacce. Altre volte, quando mi partono certi pensieri, la mia mente allinea i bicchierini e inizia a versare shottini infiniti ai miei dubbi e alle mie ansie. C’e’, insomma, room for improvement.
Quest’anno ho acceso piu’ candele, ho sentito i miei tutti i giorni o quasi, ho iniziato a fare incontri di conversazione in inglese con un paio di parenti dall’Italia – che non sanno quanto darmi un’attivita’ e un appuntamento settimanale fosse importante per la mia salute mentale, anche piu’ del sostegno economico che mi hanno offerto (che, comunque, grazie!).
In lockdown ho ascoltato quasi tutti i giorni Beautiful Strangers di Kevin Morby. Non sono un’esperta di musica, e ho un approccio molto istintivo all’apprezzamento di una canzone. Non faccio quindi molta attenzione ai testi perche’ se la voce del cantante e’ calda e rassicurante e il ritmo e’ pacato, I’m game. Beautiful Strangers mi ha grounded piu’ volte e continua a farlo.
Ho spesso messo il profumo prima di mettermi a letto – un’altra abitudine che mi riporta al presente -, ho iniziato una routine di skin care e ho comprato il mio primo reggiseno decente.
Adesso, come tutti, sogno le vacanze, possibilmente in un van camperizzato (si vede che guardo tanti video dagli USA?), ma ancora meglio, in una tree house, possibilmente senza wi-fi. Dopo mesi e mesi di stare a casa, ancora non ce la faccio a buttarmi in mezzo alla gente – non ce la farei nemmeno al pensiero del Covid19 andato a morire ammazzato. Ho ancora bisogno di isolamento, possibilmente nella natura – e di una jacuzzi all’aperto, ovvio. Ho bisogno di lessarmi nell’acqua calda e fumante, sotto a un cielo stellato mentre bevo del sidro caldo e speziato -lo zucchero! Lo zucchero! Quando imparero’? Dio ci protegga!