In queste settimane di rimuginio da sola a casa, mi sono accorta di fare molta fatica a lasciar andare delle situazioni. Let it go mi sembra da sempre un bel concetto adottato da chi essenzialmente se ne frega -si’, questo e’ quello che mi racconto per dormire la notte. Eppure e’ vero che per i torti (anche piccoli, anche minuscoli), ho una memoria da elefante – che con il vuoto esistenziale attuale e’ micidiale perche’ tutto viene amplificato, e anche probabilmente distorto. Mi riferisco in particolare a piccole situazioni del passato in cui ho sollevato un problema, e mi sono quasi ritrovata a essere io il problema.
Tipo, alle medie c’era un mio compagno di classe che mi prendeva in giro durante educazione fisica, perche’ ero scarsa scarsissima -c’e’ anche che lui era scarsissimo in classe, ma non mi ricordo di averlo perculato per quello; poi chissa’, chi puo’ ricordarsi tutto tutto dell’adolescenza e andarne fieri?
Quando e’ stato sollevato il problema, mi ricordo che il preside disse che il mio compagno non andava bene a scuola e quindi non era il caso di metterlo in difficolta’ con una nota e che avrebbe parlato con il professore di educazione fisica -un musone che copriva la sua job description per intero semplicemente indossando una tuta a lavoro. Scusate la cattiveria, ma anche io ho bisogno di sfogarmi. Manco a dirlo, anche dopo aver parlato col preside, non cambio’ assolutamente nulla -molto probabilmente perche’ non e’ stato fatto davvero nulla?
Durante il mio progetto di volontariato in UK, qualche anno fa, ho fatto notare quanto fosse sbilanciato il mio gruppo di volontari dato che 4 su 6 -e poi 4 su 5 quando una ha lasciato il programma – parlavano russo che era poi assurta a lingua ufficiale nella casa che condividevamo. C’e’ da menzionare che la leader del progetto era madrelingua russa?
Questa situazione era cosi’ palese che non poteva essere negata. E’ stato stabilito di ridurre l’uso della lingua russa in casa -peccato ci fosse un elemento esterno (il fidanzato, russofilo, di una delle volontarie) che delle direttive della capa gliene importava assai. Sono state anche fatte attivita’ di team building e team bonding, tra cui giornate dedicate a ciascun volontario in cui ognuno doveva condividere aspetti culturali del proprio paese e preparare un pasto tradizionale della cucina nazionale. Quando ho saltato uno di questi incontri (quello col mio amico piu’ stretto del progetto, quello che per conoscerci meglio avremmo dovuto sposarci), mi e’ arrivato un sms dalla capa per richiamare il mio mancato commitment – sms che ho ghostato in modo molto professionale e, onestamente, je ne regrette rien. Quando a fine progetto, anche il mio tutor ha buttato li’ che ci si aspettava che mostrassi piu’ impegno, ho fatto davvero fatica a farmi scivolare di dosso la critica perche’ avrei volentieri elencato cio’ che del progetto faceva acqua dal primo giorno – ma sappiamo che figura avrei fatto in quel caso, no? “Guarda, tutor, il progetto e’ penoso, la capa non solo non e’ rispettata da nessuna delle organizzazioni con cui lavoriamo, ma pensa anche di essere a capo di una task force che portera’ lustro alla sua carriera. Tutti i volontari si sono trovati fidanzati (guarda caso) europei e side-jobs -anche chi e’ in UK senza permesso di lavoro. Conviviamo con un membro extra (il fidanzato russofilo) che non e’ parte del progetto e non potrebbe in teoria appoggiarsi a un affitto offerto ai volontari dall’Unione Europea. But, please, do tell me more about my commitment…”
Le volontarie russe, o russofile, non hanno sollevato problemi, e loro hanno dimostrato di aver capito davvero tutto. Non e’ che loro non abbiano incontrato ostacoli, ma “va tutto bene” era la facciata che avevano scelto di presentare.
A lavoro ho sentito spesso dire “bring solutions, not problems“. Anche se con questo si cerca di far sviluppare problem solving skills ai dipendenti, oltre a suonare stucchevolmente yuppie, anche l’idea dietro al concetto ha i propri limiti. Per esempio, a volte i problemi sono generati dai capi stessi, i quali non prendono benissimo che gli si vada a dire “ecco la mia soluzione: si cerchi un altro lavoro che’ ci risparmiamo un po’ di casini”.
Io non so se questo sia un punto di arrivo e un indice di maturita’. A me sto “bring solutions” mi puzza di qualcuno che si sta lavando le mani, dopo anni di trainings su problem solving e conflict management. Mi sembra un po’ una scusa per cancellare l’accountability dalla scena e mi sembra anche che venga richiesto (ai solution bringers) di prendersi pure le responsabilita’ di cio’ che non dipende direttamente da loro. Ma forse e’ solo immaturita’ mia, e probabilmente vivo ancora nel mondo di My Little Pony.
Mi ricordo, sempre alle medie (che periodo dimmerda), in un progetto di gruppo, ho avuto una strigliata stratosferica dalla professoressa perche’ i miei compagni mi avevano affibbiato la colpa di aver rallentato la realizzazione di un (inutile) cartellone. Da cretina che ero, non ho nemmeno detto la verita’ alla professoressa, ovvero che quei quattro cretini erano degli incapaci che non si sapevano assumere le proprie responsabilita’. Mi sono sciroppata la strigliata e via. Ancora mi chiedo se una volta a conoscenza della verita’, la professoressa avrebbe preso delle misure per mettere al proprio posto i miei compagni. I miei due compagni che avevano voti bassi avrebbero ricevuto una strigliata della stessa portata? E io? Avrei comunque ricevuto qualche critica sulla mia condotta, nonostante la colpa ricadeva interamente sui miei compagni? No, perche’ dopo l’esperienza del preside, e anche dopo aver visto le dinamiche sul lavoro di mio padre, davvero c’era da aspettarsi cose dell’altro mondo.
Quando il mio tutor mi ha chiesto se volessi sollevare dei problemi col progetto di volontariato, avrei dovuto sorridere e dire “no, assolutamente!”. Quando il mio compagno di classe mi prendeva in giro, avrei dovuto rendergli il favore umiliandolo in classe durante un’interrogazione andata male -anche se, infondo, non mi importava un fico secco di farlo e mi sarei forse anche presa una nota, visto che avevo voti molto alti. Ma almeno avrei messo la palla al centro.
Quello che si puo’ evincere da questo post ( off-topic qui e li’ e in cui faccio vedere aspetti di me di cui non dovrei andare fiera, ma che esistono e quindi ciccia) e’: i vaffa mancati continuano a perseguitarci dopo anni!
Per il gusto di placare la curiosita’ dei lettori, vi posso informare che le volontarie del progetto che non potevano rimane in UK dopo il volontariato (causa permesso di soggiorno) sono magicamente sposate a mariti che permettono loro di rimanere.
Il gesto garbato del preside di evitare al mio compagno delle medie di essere responsabile delle sue parole, non e’ comunque servito a nulla. Per la brutta china che ha preso, pero’, posso solo sperare che abbia bucato le ruote della macchina del preside.