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25 lunedì Ago 2014

Posted by io boh in scoperte settimanali

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anestetici, aspettarsi il peggio, cambiamento, consigli, incompreso, mancanza, nostalgia, precarietà, proprietà di linguaggio, ricordi, sconfitta, sdoppiamento, senso di colpa, solitudine, turpiloquio

foto dalla rete

foto dalla rete

•Quando sento la mancanza di qualcuno, mi sono resa conto che sento la mancanza di qualcuno che non esiste.
Il ricordo, il desiderio di lui non è altro che il desiderio di qualcosa più che di qualcuno.

•(Rispetto al punto precedente) ho elaborato meglio: infondo i (pochi) ricordi nei quali mi crogiolo mi aiutano ad anestetizzare la solitudine di una vita.
Anche se sono da sola -ok, non al mondo, ma in certi ambiti sì -da una vita, non riesco ancora ad abituarmici, a vederne il alto positivo; forse è colpa delle commedie romantiche o forse è solo una deformazione ormonale. Il desiderio di uscirne rimane più forte di quello di godermi il momento: c’è qualcosa che non va. Così, dato che non si presenta nulla di nuovo all’orizzonte, ritorno ai miei cari ricordi, me li riassetto alla ben’e meglio, me li cullo tra le braccia e ci costruisco sopra “ricordi” di fatti che non sono mai accaduti -sempre fatto fatica a contenere la mia creatività, anche quella emotiva.
Anche se so che quello che arrivo a immaginare non è mai stato reale, il solo pensarne mi fa sentire in compagnia, la realtà sarebbe molto meno interessante senza.
I ricordi sono la mia coperta di Linus.

•È snervante sentire il bisogno di un cambiamento ma non sapere bene di quale in particolare.
Ho pensato che forse ho bisogno di un viaggio, da sola (anche se non ho voglia di viaggiare da sola: ho già passato abbastanza tempo da sola), ma non è il momento ideale per programmare un viaggio, oltre al dettaglio che non me lo potrei permettere. Mi sembra che per ogni idea che mi venga in mente per superare lo stato d’ansia che in questo momento mi accompagna, mi vengano in mente altrettante giustificazioni o ragioni per non fare nulla. Per quante alternative riesco a pensare, non ce la faccio a scegliere di rinunciare a quello che devo accantonare per fare una scelta.

•Uscire da casa dei miei ha prodotto uno sdoppiamento della mia vita.
Questo, la nostalgia (che a volte mi prende) e il vago senso di colpa (per la mia precarietà), sono tutte sensazioni di cui nessuno ti parla prima, ma che nessuno può comunque farti capire se non le provi in prima persona.

•Certe volte, anche se ci si sente attorniati da gente saputa che dà consigli non richiesti, è meglio ascoltare piuttosto che ritagliarsi il ruolo dell’incompreso

•Nonostante sia della scuola del “sempre meglio aspettarsi il peggio” (perché ciò che ne seguirà potrebbe essere molto meglio di quanto ci si aspettasse), mi rendo conto che così facendo, concentrando le mie energie nell’attesa dell’imminente catastrofe, mi perdo dei bei momenti.
Perché quando la sciagura prevista non si verifica, la gioia che ne consegue non è più grande, anzi. L’idea della sconfitta, quella che mi sono girata e rigirata nella mia mente perché mi ci abituassi, rovina un po’ anche l’arrivo di un bel risultato.
Se avessi potuto sapere di aver superato una prova prima dei seguenti tre mesi (quelli necessari per ottenere i risultati) di depressione post-delusione che ne ho fatto seguire, mi sarei risparmiata bilanci sciagurati, visioni tetre e recriminazioni personali -anche se dopo il superamento della stessa prova me li sarei riservati comunque (ormai è un riflesso involontario).

•Mi sono accorta che sto perdendo quella proprietà di linguaggio che, una volta, credevo di avere.
Quando mi metto ad analizzare una situazione nella mia mente (ma anche a parole), mi rendo conto che le mie conclusioni scadono facilmente nel turpiloquio.
E non sono arrabbiata col mondo, solo mi sembra che certe espressioni non proprio adatte ai minori abbiano sfumature di significato così molteplici, ma anche così specifiche e incisive.

•Per lungo tempo ho pensato che i miei insuccessi con il genere maschile -ma più che insuccessi chiamiamoli mancati successi, quelli che non sono andati a male, ma non sono manco mai iniziati -li ho attribuiti alla possibilità di intimidire i ragazzi. So essere spigolosa, molto riservata e silenziosa e apparire quindi altera.
La settimana scorsa, dopo essermi sentita chiamare “ragazzina” -cioè, l’appellativo che si riserva dai 12 ai 16 anni -, ho capito: quelli non mi si filano perché hanno paura della galera, ecco cos’era! Ma ditelo no?!

•Se prima dei trenta faccio fatica a contenere la malinconia che a momenti mi attanaglia, come sarò da anziana?
Una sboccata malinconica, ecco cosa sarò!

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