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foto dalla rete

foto dalla rete

• Youtube ce l’ha con me e con il mio orologio biologico.
Dev’essere così perché sennò non mi spiego questo infarcire i video che guardo con pubblicità su metodi “concenzionali” (anche se uno è, dalla notte dei tempi), contraccettivi e test di gravidanza. Tra l’altro non capisco nemmeno cosa stia cercando di dirmi ‘sto youtube, cioè chiarisciti le idee prima di propinarmi coppiette sessualmente attive che si baciano e bambini paffuti che mi chiamano mamma: devo o non devo fare un figlio?
Ok, ‘sti cookie hanno capito che sugnu fimmina, ma non è che questo faccia di me il target ideale per questo tipo di pubblicità, insomma! Capito cookie? Ché qui manca non solo a chi annunciare il risultato del test di gravidanza (che al momento potrei prevedere con una percentuale di prenderci del 100%) o con chi cercare di avere un figlio (che i ragazzi che potrei -mai condizionale è stato più azzeccato -frequentare non saprebbero manco fare lo spelling della parola “figlio” -e non gli do manco torto, guarda), ma manca anche con chi non avere un figlio, se è per questo.
E comunque è bieco e sleale fare leva sui miei ormoni.

Hallelujah -cantata da Jeff Buckley – è la canzone perfetta per quando si ha voglia di vedersi scorrere davanti tutti i fallimenti della propria vita.
Catartico? Forse.
Masochista? Mi sa.

•Ci si può commuovere davanti a un orso abbracciante di skype.

•Quando a una ragazza ronza intorno un ragazzo -che le piace -diventa istantaneamente più bella – e non sto dicendo agli occhi di lui, no, no: diventa proprio più bella.

•Miranda Hart somiglia a una mia compagna di classe delle superiori.
E questo me la rende forse meno simpatica -non che la mia amica non mi stesse simpatica però, allontanandomi dalle mie compagne di classe dopo la maturità, non possono farmele più stare simpatiche come prima, no?

•Questa storia della fortuna dei giovani d’oggi, della mobilità, del viaggiare per il mondo, del parlare più di due lingue, del cambiare partner ogni cambio di stagione, della flessibilità nel mondo del lavoro, delle (quasi) infinite possibilità di scelta che abbiamo (studi, domicilio, matrimonio, figli) è tutto un mito -oppure sono solo io che inizio a sentirlo così?
Quando penso alla possibilità di appartenere a un posto, di crescere con gli amici di sempre, di stare con un fidanzato dall’adolescenza, di avere radici ed essere inserito a livello sociale, ecco, a me questo sembra impagabile -non il lasciare in giro per il mondo amici che non saranno più amici per mancanza di preziosa quotidianità, non avere amorazzi che forse potevano essere ma non saranno mai -o forse non potevano essere già in partenza-, non il fare lavori che non promettono nessuno sbocco futuro -quando non sono di puro e semplice sfruttamento -, non il cambiare case delle quali non ci si prende cura (che ci spenda i soldi il proprietario, quel pulciaro!) e nelle quali non si lascia nessuna traccia: questi sarebbero passi avanti? Davvero?
Lo sradicamento e il dover viaggiare leggeri perché tanto poi ci aspetta un’altra meta, non so, possiamo indorarli quanto ci pare (il mettersi in discussione, il conoscere nuova gente, il confrontarsi con diverse culture), ma non mi convincono. Tutto meraviglioso, ma non mi convince.
E no, non odio la mia vita di adesso, anche se mi sta stretta perché non vedo prospettive per il futuro, e non penso nemmeno che si stava meglio quando si stava peggio (le mie nonne non sono state più felici di me, questo lo so bene); infondo credo di avere una vocazione a una vita semplice, ma sento di non avere le basi per avere una vita così. In quale paese mi fermo se non appartengo a nessun posto? Con chi esco o chi invito a casa se i miei amici sono sparsi per il mondo?
Ma soprattutto: perché nessuno è mai contento con quello che ha?